E tanti saluti a quegli stupidi colori pastello!

"E tanti saluti a quegli stupidi colori pastello!" è il titolo di questo racconto, il cui protagonista è immaturo, egoista e spietato - soprattutto nei confronti di se stesso. Inutile dirlo: è il mio personaggio preferito.


 La parola funambolo ha due significati: indica una persona capace di camminare su un filo sospeso, in senso figurato una persona in grado di destreggiarsi bene tra le difficoltà della vita. 

Io sono un funambolo figurato ma spesso, ad occhi chiusi, divento un vero funambolo. Sogno di camminare sulla città più affascinante di tutte, che è la mia, attraversandola dall’alto senza mai toccare l’asfalto. Non ho le vertigini, non ho paura di cadere. Mi sento solo… leggero. 

Credo che i funamboli veri - non quelli figurati - non possano avere retropensieri, sul filo.  Sul filo sei solo tu con il tuo corpo, non puoi portarti i pensieri. Ultimamente sto avendo qualche problema con i retropensieri. I retropensieri sono quelle turpi giustificazioni delle nostre azioni che non vogliamo condividere, perché farlo sarebbe troppo imbarazzante. Un pensiero ha tendenzialmente una logica, non necessariamente una morale. Un retropensiero non ha mai nulla che sia vagamente logico o morale. Il mio retropensiero, il mio cazzo di problema, è Lei. Lei è la ragione, l’ossessione, la colonna sonora. Tutto ciò che faccio è legato a Lei: qualcosa che la farebbe ridere, qualcosa che la farebbe piangere, qualcosa che sicuramente la farebbe gridare di rabbia, qualcosa che la farebbe gridare di piacere. Lei esiste, è nel mondo, ma per me resta un’idea. L’ho conosciuta, odiata più di ogni cosa con quei capelli sempre spettinati e le lentiggini sotto gli occhi bruni. Non so spiegare quanto io la odi, questa Donna che è il mio retropensiero costante e che continua ad accoltellarmi. Il tintinnare delle chiavi è l’eco della sua risata, la porta che si chiude alle mie spalle è quella volta in cui mi ha gridato di andarmene, l’acqua fredda con cui mi lavo il viso al mattino è quel bacio da pazza che io non volevo - ma bramavo. Lei è la stupida vocetta di una bambina che accarezza un cucciolo per strada, è quella stronza il cui sguardo può cambiarmi per sempre l’umore, è quella compagna di viaggio di cui sento l’assenza ogni volta che vorrei stringere la sua mano in una sala d’attesa e Lei non c’è. La cosa peggiore di Lei è che lo sa. Ha conosciuto la parte di me debole e spaventata e questo non lo sopportavo più, come non sopportavo il giudizio di quegli occhi sempre più delusi, quelle ciglia curve, che sembravano allungarsi ogni volta, poggiate sulle guance pallide. Ogni cambio di sguardo mi ha portato alla follia, e adesso questa Donna a cui ho detto “Addio!” Mille volte nella mia testa è il mio unico retropensiero e quasi sicuramente non se ne andrà mai. 

La decisione, comunque, è presa: non potrei reggere un altro di quegli sguardi, io che non sono minimamente come Lei vorrebbe che fossi, che sono solo un funambolo senza filo. Dove potrei portarla, se non posso toccare l’asfalto? Dovrebbe imparare a volare, per starmi dietro mentre sono sul filo. Avrebbe le ali tutte colorate, avrebbe quegli stupidi colori pastello a farmi strada, ma vorrei essere io a guidarla. Vorrei essere io davanti, ma Lei si prende tutti i miei retropensieri e per me non rimane niente. Cos’è che sono, quando lei non è qui? Non me lo ricordo. So solo che ora i miei pensieri non sono più liberi, che sono stati ingannati per sempre da quel tintinnare, da quella porta che sbatte, da quell’acqua fredda la mattina. 

La odio, anzi no. Non potrei. La mando a cagare! 

E tanti saluti a quegli stupidi colori pastello.

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