Il lamento di PenguinNoy.

 Lo scrittore, lo sciroppo e le pietre. 


Apro il mio nuovo documento, Vuoto 50. Ciò significa che ho scritto 49 documenti senza rinominarli prima di questo, dimenticando il contenuto di ciascuno.  Il contenuto è davvero importante, così tanto che dovrebbero incriminare l’assenza di contenuto nelle persone. Ancora di più, dovrebbero incriminare le persone che credono che qualcuno possa non avere un contenuto (mettetemi in manette, ma rosa). È vero che tutti abbiamo un contenuto: un contenuto doloroso, nascosto, chiacchierone, vitale, spento. Un contenuto pesante, a volte. Può essere alla crema, alla cioccolata, alla medicina amara. Se penso al mio contenuto, penso allo sciroppo d’acero, perché dopo qualche forchettata provoco nausea. All’inizio sono entusiasmante, poi il sapore è troppo forte e dolce e ti viene da allontanare il piatto. 


A proposito di contenuti, lo  scrittore ha la funzione di scriverli: il mio ripieno rende bene solo su carta. Il mio vero contenuto, non mediato dal susseguirsi di parole, è esteticamente disturbante. Vendo le copie cartacee dei miei tormenti ma non so vendermi nella vita reale, è ironico. È che nel trambusto non trovo le parole giuste. Sarà che per me le parole pesano come macigni, sarà che mi affligge il tentativo (puntualmente fallimentare) di identificarmici in toto. È impossibile avere questa armonica coerenza, razionalmente lo capisco, eppure mi tormento. Quando gli altri pronunciano parole dolorose scappo, corro, piango, nascondo il volto. Sono uno scrittore che non sopporta il peso delle parole. A volte reagisco immobilizzandomi con sguardo glaciale perché le parole si fanno troppo minacciose. A volte dico parole offensive, ma solo sottilmente. T’offendo con qualche ammiccamento a principi morali del tutto arbitrari, ma senza insulti. Quelle volte le parole feriscono più me che le pronuncio, e se qualcuno mi desse un pugno nello stomaco soffrirei di meno. 


La cosa peggiore per uno scrittore è non saper dire le parole d’amore, ma saperle solo scrivere. Così non posso nemmeno sfruttare il mestiere per rimorchiare. Non so dirle perché sono troppo forti. Io non so mentire su una cosa come l’Amore, quindi sono sempre vere. Se sono vere, sono forti. Se sono forti, mi fanno venire l’ulcera. Invece la tastiera se le mangia, nel momento in cui le penso le perdo così, digitando, e mi pesano meno. Perché, se io dico quelle parole d’amore a voce alta, lancio una pietra (preziosa). 


Ci sono pinguini che, durante la loro vita, raccolgono le pietre più belle che trovano durante la marcia. Le conservano tutte e, quando trovano la pinguina della loro vita, le consegnano la pietra più bella tra quelle raccolte. Attenzione, è una pietra importante, determinante.

Se la pinguina rifiuta la pietra, loro le gettano tutte e non offrono più a nessun’altra quella pietra. Muoiono in solitudine. Io sono uno scrittore pinguino: ho offerto la mia pietra una volta ed ora non ho pietre da offrire, perché le ho gettate tutte in un momento di rabbia. Non ho neanche più la mia pietra preferita, perché la pinguina l’ha conservata per sé. Ho elaborato la soluzione di raccogliere nuove pietre, per offrirle più levigate e chiare che mai, ma sono bloccato dall’idea che possano non essere lucenti abbastanza, o che possano esserlo così tanto da perderle per sempre. Ho anche paura che le pietre mi vengano sottratte a mia insaputa - perché sono grasso e goffo come pinguino, inciampo sempre ed ho problemi ad aprire le porte. 


Non so come risolverla perché come animale non sono molto intelligente e non sono neanche un pinguino ballerino come quello del cartone, che la prenderebbe sportivamente. E poi non sono così rancoroso da diventare il genere di pinguino che ucciderà Batman. Forse sono il pinguino ripieno. Bella fine: il grasso pinguino del Ringraziamento, ripieno di sciroppo d’acero.


Dovevo essere un po’ volpe, in ‘sta vita.

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