L'eleganza della cultura.



La sessione invernale mi ha catapultata nella modalità “cogito ergo ancora forse più o meno sum, all’incirca” e L’eleganza del riccio è stata una scelta azzeccata rispetto al mio umore filosofico-vegetativo-altalenante.
La trama, non delle più gioiose, narra l’incontro fra l’autodidatta Renée, portinaia cinquantaquattrenne di un palazzo signorile di Rue de Grenelle, e Paloma, dodicenne precocemente delusa dalla vita che progetta il suo scenografico suicidio con incendio del proprio appartamento annesso. Le protagoniste, che narrano in prima persona alternandosi fra i capitoli, sono accomunate dalla grande attenzione alle differenze di classe (che trovo leggermente ripetitiva all’interno del romanzo e un po’ artificiosa nel XXI secolo) e dalla stessa sterminata cultura, che cercano accuratamente di dissimulare per condurre esistenze tranquille e prive di aspettative, sottostando a quelle regole sociali che le vogliono l’una ignorante e pigra e l’altra superficiale ed ingenua. La vera svolta (l’entrata in scena di un nuovo condomino giapponese che sconvolge gli equilibri di tutti gli altri) giunge solamente verso la fine del romanzo, mentre penso che avrebbe potuto aprirlo data la figura interessante del personaggio in questione. Anche l’incontro fra le due protagoniste ed il loro incontro emotivo mi sono sembrati sbrigativi e poco approfonditi. Il personaggio di Renée mi ha lasciata relativamente indifferente se non nel momento in cui si narra la sua infanzia, mentre ammetto di non essere una fan sfegatata della dodicenne giudice dell’umanità (chi in fondo non lo è stato?) con tendenze suicide, soprattutto perché l’autrice è riuscita a farmi scordare l’età della ragazza prodigio, rendendo credibile l’ipotesi del suicidio sin dall’inizio grazie alla freddezza obiettiva che la stessa mantiene del descrivere “i movimenti del mondo”ed al totale pessimismo che la caratterizza. Non sono riuscita ad empatizzare con questo personaggio, che dipinge il mondo come in effetti è: frivolo e superficiale, privo di umanità e compassione. Non mi sento pronta ad accettare questa verità e per questo ho sperato sino alla fine in una luce nel tunnel, in un barlume di bellezza colto in un attimo di distrazione, e sono stata accontentata dall’autrice. 
Per quanto riguarda lo stile premetto che si tratta di un romanzo fine, pregno di riferimenti culturali dal cinema giapponese alla letteratura russa, dalla musica classica alla filosofia occidentale. Riferimenti forse troppo presenti, che talvolta rallentano eccessivamente la trama ma che tuttavia la impreziosiscono, donando al romanzo l’unicità di cui necessitava data la semplicità della trama. Il romanzo stesso può considerarsi erudito: le due voci narranti dall’intelligenza superiore alla media possono godersi uno stile alto ricco di meravigliose metafore, preziosi spunti, echi letterari, una libertà insomma che non tutti i romanzi possono prendersi. 
Nel complesso trovo sia un romanzo piacevole e stimolante, che potrebbe attirare soprattutto il pubblico più eclettico.


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