Cambiare l’acqua ai fiori, recensione.

 Ci sono libri che divori, libri che lasci dopo poco e libri in cui ti crogioli, lentamente, assaporandone ogni pagina. 

Cambiare l’acqua ai fiori, di Valérie Perrin, rientra nell’ultima categoria. Così, un po’ per paura di incontrare me stessa tra le pagine prima di esserne pronta e un po’ per assimilare con il giusto tempo una preziosa lezione di scrittura, ho letto questo libro per diversi mesi, mentre altri titoli passavano lesti tra le mie mani. Se a queste sensazioni aggiungiamo la mia scarsa - o del tutto assente- voglia di separarmi dalla mia Violette, il risultato è stato quello di affezionarmi a questo romanzo come ci si affeziona a qualcuno che ci assomiglia terribilmente: le relazioni più travagliate e importanti sono così, agrodolci.


Qualcuno ha paragonato Violette alla protagonista de L’eleganza del riccio (la recensione qui) sulla base delle grandi personalità celate dietro umili mansioni, ma non condivido questo paragone. La nostra Violette, protagonista magistralmente rappresentata da Velérie Perrin, non cela un’immensa cultura, ma l’esperienza di una vita travagliata che ne simboleggia centinaia, attraverso l’immagine dei suoi vestiti colorati nascosti da quelli neri. Il lavoro di Violette, guardiana del cimitero, è molto diverso dal lavoro della portinaia  Renée: la prima ha a che fare con echi di vite lontane, la seconda con la frenesia di persone estremamente vicine. Mentre Renée ha vissuto attraverso i romanzi letti e la musica classica, Violette ha vissuto dolori e sofferenze, ma anche gioie e passioni travolgenti. Molto più umana ed emotiva, Violette simboleggia la forza femminile nelle sue più intricate sfaccettature emozionali, mentre Renée rappresenta un carattere più marcatamente maschile, in base ai canoni sociali che attribuiscono la razionalità, di solito, a personaggi virili. Così abbiamo da un lato una Violette che rappresenta l’emozione e dall’altro una Renée che di emozioni risulta a tratti quasi priva, una vita vissuta appieno quasi in assenza di cultura contrapposta ad una vita filtrata dalla cultura sconfinata. Una Violette attiva anche in momenti di assoluta passività rispetto alla vita risulta, dal mio punto di vista, assolutamente lontana da Renèe, che della propria vita non risulterà mai protagonista.


Anche lo stile della Perrin è più scorrevole e leggero rispetto a quello della Barbery e possiamo apprezzarlo nell’agilità con cui sono dominati i tre diversi intrecci: la vita da guardiana di Violette, la vita da madre di Violette e l’amore folle tra Irène e Gabriel, che si riflette in quello tra la protagonista e l’ispettore, incaricati dall’autrice di risolvere questo mistero d’amore. 

Passioni, misteri, riflessioni preziose sul senso della vita: quando una penna descrive così agilmente diversi scenari, non può che definirsi un talento. La capacità di descrivere la violenza, la dipendenza affettiva e la sofferenza non escludono - in questo romanzo- quella di descrivere gioia, delicatezza e soprattutto l’amore sconfinato di una madre verso la propria figlia. 

Anche i personaggi secondari sono ben delineati attraverso pochi tratti, quasi in assenza di aggettivi. Un altro esempio di come raccontare senza dire. Un manifesto di talento nel panorama editoriale europeo. 


Cambiare l’acqua ai fiori è un romanzo denso di emozioni, che mi ha addirittura commossa - ed essendo Malefica non ho la commozione facile durante le letture. 


In conclusione posso confermare il timore espresso all’inizio di questa recensione. Leggendo questo romanzo ho incontrato me stessa ma in fondo, conoscermi, non mi è dispiaciuto. 

Vi auguro di perdervi tra queste parole, di entrare nel mondo di Violette come ho fatto io: con la sensazione di farne parte da sempre.






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